Un Pensiero e un Ricordo nel Giorno della Memoria
(A mon Grand Père 27 gennaio 2011 alle ore 7.48)
Ci sono certe cose che, anche se non le viviamo ci portiamo dentro.
Dei ricordi che non ci appartengono ma che ci hanno raccontato.
E quei racconti… non facili da sentire… a volte incomprensibili… spesso inaccettabili, s’insinuano nel profondo della nostra persona.
Da una parte vorresti poter sapere tutto, dall’altra non osi chiedere nel dettaglio, perché in fondo non puoi credere che sia vero.
Capita di fare sogni in cui ti trovi in quella situazione.
Capita che avverti una sofferenza lacerante.
Capita di chiederti: ” ma io? Come avrei reagito? Che cosa avrei fatto? Avrei mai resistito?” E soprattutto ti chiedi: “Che forza avrei avuto se avessero sterminato davanti ai miei occhi le persone che amo?” Ti accorgi che dopo anni, non hai ancora la risposta ma, quella domanda ti ossessiona comunque.
E lo sai, ogni volta che ripensi a quel periodo, quelle domande te le continui a porre.
La Shoah, é qualcosa che non può far smettere di pensare.
Fatti accaduti che non possono essere dimenticati… Fatti che qualunque sia la nostra religione ci devono far riflettere.
Frasi forse stereotipo… ma… ma é cosi.
Ovviamente non parlo solo dell’Olocausto.
Non ho mai conosciuto mio nonno perché morto di diabete all’età di quarantatré anni, quando mamma ne aveva diciassette e zia dodici.
Era un omone simpatico alto e un po’ robustello.
Amava le caramelle, poteva mangiare una vaschetta intera di Mousse al Cioccolato formato famiglia.
Dicono che quando poteva non si privava di nulla.
Sapeva che era rischioso per il cuore ma non ascoltava nessuno.
Era stato privato già di troppe cose in quei due anni.
Certe ferite interne probabilmente non si rimarginano mai.
Cantava sempre… era bravo a cantare… purtroppo, questa dote non é stata tramandata nelle generazioni a venire… Quest’omone raccontò solo una volta la storia della sua deportazione.
Mai nel dettaglio però.
Delle persone che ancora oggi sono in vita, c’era solo la sorella di mia nonna ma era giovane e ancora ferita internamente da quella guerra che l’aveva costretta a convertirsi e a nascondersi in un convento… I ricordi sono vaghi… nel libro ” Heureux comme Dieu en France” (Felice come Dio in Francia) di “Gerard Israel” però c’é un passaggio su di lui.
Da quando lesse quel breve estratto, mia madre dice di esistere perché mio nonno Maurice Weinberg si é preso una randellata in testa da un nazista.
Effettivamente in quel passaggio del libro si racconta di una “rivolta”, se cosi si può chiamare, all’interno di uno dei vagoni, carri bestiame, diretti ad Auschwitz.
Era una semplice richiesta d’acqua.
Dei soldati nazisti sono entrati nel vagone, Maurice che aveva diciassette viene colpito e dopo essere svenuto, non si sa come né perché, spostato in un vagone adiacente.
All’arrivo al campo tutti i passeggeri del vagone della “rivolta” finiscono direttamente nella camera a gas.
Mio nonno no.
Questa é l’unica cosa che so.
Non ho nessuna informazione sui quei giorni nei campi.
Sul freddo, sulla fame, sull’adunata generale, sul lavoro «Arbeit macht frei» si diceva, sulle punizioni corporali, sugli odori dei forni, sulla paura giornaliera di essere il prossimo… Posso solo immaginarlo, cosi come tutti, tramite i racconti di altri.
So che aveva diciassette anni e che ha sopportato tutto questo.
Voglia di vivere… tanta.
Sicuramente anche un pizzico di fortuna.
Ovviamente so che si é salvato perché se no non esisterei.
Dopo anni siamo riusciti a ricostruire quello che é stata una parte del percorso di mio nonno.
Questi dati sono conservati al “Memoriale della Shoah di Parigi”, come quelli di molti altri, tantissimi “Sommersi e Salvati ” come li chiamerebbe Primo Levi.
Nato il 5 febbraio 1926 -Ebreo- Arrestato il 29 luglio 1943 perché ebreo.
Deportato con il Convoglio n. 59, il 2 settembre 1943 é stato prigioniero nei campi di Auschwitz, Buchenwald, Dachau, ha partecipato alla marcia della morte, tornato dalla deportazione presso l’Hotel Lutetia di Parigi nel maggio 1945, il suo numero era 11 75 13 673 58.
Apprezzo tantissimo le persone che, una volta tornate, sono riuscite a scrivere e raccontare.
Queste persone, con le loro testimonianze ci aiutano a non dimenticare e ci permettono a nostra volta di raccontare quello che abbiamo sentito.
Capisco però anche chi per andare avanti ha deciso di provare a sotterrare quei momenti dolorosi e umanamente umilianti.
Per me, mio nonno é stato un eroe.
In certi momenti della vita, sopravvivere é una vittoria.
Magari se fosse vivo, mi direbbe che non é cosi e avrebbe tante ragioni da darmi, ma purtroppo posso vivere solo di quell’ideale che mi sono fatta di lui.
Non so come abbia fatto a farcela ma né é uscito e lui come tanti altri hanno dato vita a una nuova generazione e così via.
Il mio pensiero di oggi va a lui e a tutti gli altri eroi.
Il mio pensiero é un abbraccio a tutte le persone, tante, tante, tante persone che invece non l’hanno fatta.
Deborah Carella