Birthday Boy
Un cortometraggio intenso e pieno di significati, vincitore di oltre 40 premi nei festival di tutto il mondo, nomination oscar 2005.
Il film è ambientato in Corea, durante la guerra (1950-1953) che ha visto contrapporsi da un lato il Nord con la Cina e L’Unione Sovietica e dall’altro il Sud e le Nazioni Unite.
Il corto non parla della guerra in quanto tale, piuttosto del suo impatto su coloro che sono rimasti.
Un titolo su schermo imposta l’azione in Corea, 1951.
Il film racconta la storia di un giovane ragazzo, Manuk, che vaga per una città apparentemente deserta per raccogliere e riciclare le macerie della guerra.
Noi lo incontriamo nel relitto di un aereo, alla ricerca di un particolare pezzo di guerra – un bullone – che si trasforma in un soldatino per la sua collezione.
Canta una canzone su un orso.
Dopo aver sentito il fischio inconfondibile di un treno in lontananza, corre in pista e inserisce il bullone sulla guida.
Il treno tuona sulla sua urgente missione di portare carri armati al fronte.
Manuk sta ipnotizzato, e sorride ampiamente.
Una volta che il treno è passato, egli recupera il bullone che è diventato magnetizzata.
Lui percorre la sua strada attraverso la città, fingendo di essere un soldato impegnato in combattimenti casa per casa, fino a quando la sua attenzione è catturata dal ronzio di motori aerei.
In silenzio osserva lentamente attraversano il cielo.
Il suo gioco di guerra ricomincia come lui, si rannicchia dietro le rocce su un crinale che domina una zona con case aggrovigliate tra di loro.
Manuk immagina lui è suo padre, immobilizzato dal fuoco nemico. “Papà, sono troppi”, piange come il suono delle mitragliatrici.
“Noi siamo più coraggiosi di loro”, risponde il padre.
Manuk raccoglie una pietra come se fosse una bomba a mano, tira sapientemente il perno con i denti e la scaglia contro il nemico gridando: “Papà, scendi!” Lui aspetta, accovacciato, le dita nelle orecchie per l’esplosione che non arriva mai.
Invece sentiamo il grido del postino per la sorpresa e il dolore, prima di schiantarsi la sua bicicletta e grida al suo aguzzino invisibile.
Manuk va via, e sale la collina verso la sua casa.
Prende una chiave da un nascondiglio, e si avvicina alla veranda di fronte alla sua casa.
Si accorge di un pacco, e corre per aprirlo.
Tira fuori un vecchio portafoglio di pelle contenente una fotografia in bianco e nero sbiadito di un uomo accovacciato con un bambino vestito come Manuk, ma molto più giovane.
Manuk accarezza dolcemente la fotografia con il pollice.
Poi tira fuori una serie di cose, e un vecchio stivale.
Si marcia su e giù davanti alla sua casa, con indosso gli stivali, come se lui è un soldato di guardia. Successivamente, all’interno della casa, gioca con i soldatini e carri armati che ha fatto con pezzi di metallo che ha trovato, e si addormenta sul pavimento.
Sua madre appare alla porta, dicendo: “Manuk, mamma è a casa”.
Purtroppo noi siamo, ciò che impariamo!
Fa conoscere ad un bimbo la violenza e diventerà violento,
donagli amore e diverrà saggio.
Sante parole cara Pat
Commovente e purtroppo realistico ! Quanti bambini si chiamano Manuk nel nostro mondo disgraziato?
tanti purtroppo!